Grafomania


Don Oreste Benzi educatore

Rimini, 16 ottobre 2009
Testimonianza alla "Preghiera senza barriere"

Comincerò dalla fine, dall’ultima omelia del sabato di don Oreste, alla Messa della Comunità Papa Giovanni . Quel sabato dicemmo tutti che era particolarmente in forma e centrò la predica su tre parole: sintonia, sinfonia e simpatia. Mi colpì soprattutto la simpatia e una frase: “dite voi se non è simpatico...

E comincio da quella frase.

Don Oreste con i giovani nella Dite voi se non era simpatico” il nuovo cappellano, un pretino magro magro, che nel 1949 si presentò nella parrocchia di San Nicolò invitando i ragazzi ad uno ad uno e facendo trovare loro in parrocchia la meravigli a delle meraviglie: il calciobalilla.
Oggi nell’era della Playstation e del Wee un bel calciobalilla è ancora un bel gioco. Ma pensate allora, quando la parrocchia era ancora un mucchio di macerie e diverse case non erano messe meglio. Quando si giocava davvero a pallone nelle strade, dove peraltro passavano solo biciclette. Arrivò questo prete e si mise, a spianare le buche per un campo da calcio con pala, carriola e un fazzoletto con quattro nodi in testa,. E poi trovò il pallone e quando finiva sotto il filobus, si metteva a cucirlo con ago, filo e pazienza.

Trovava il modo di fare cose meravigliose, per allora. Oggi con un volo low-cost si arriva ovunque in Europa con pochi Euro. Allora erano troppe le lire di un biglietto d’autobus per San Marino. E allora don Oreste alla domenica caricava i ragazzi su un camion prestato da una ditta per andare sul Titano e a Verucchio.
C’è l’Anno Santo? Allora si va a Roma! Sì, ma come? Ma in bicicletta, naturalmente. E ci andò davvero, con una pattuglia di coraggiosi.

Dopo soli quattordici mesi la pacchia sembra finire: don Oreste viene chiamato in Seminario ad insegnare. Ma il Seminario era lì vicino al Duomo e non era difficile arrivarci. E così lo seguirono.

E qui accade una cosa strana.

In Seminario riceveva i ragazzi in uno stanzino, che potete ancora individuare nell’ultima vetrina del negozio di arredi sacri di fianco al Duomo. Lì davanti spesso c’era la fila, soprattutto al sabato, per le confessioni e parlare don Oreste. Non c’era il calciobalilla o il ping pong in quello che chiamavano “il botteghino”.
Non si giocava a calcio e non si andava in bicicletta.
Ma perché c’era la fila? Don Oreste faceva direzione spirituale e sapeva ascoltare e aiutare. Ascoltava i crucci dell’età della crescita e dava i consigli giusti. Ascoltava, ad esempio, Stefano che doveva fare ragioneria e non gli piaceva e lo aiutava a studiare latino e filosofia e gli dava un corretto metodo di studio.

E non era certo un tipo tenero. Sui principi non si sgarrava. Chiedeva sempre molto, persino cose impossibili. Come definireste la richiesta a un quindicenne di lasciare la morosa? Impossibile! Eppure Luciano l’ha lasciata, perché don Oreste non gli aveva detto “Così vai all’inferno” ma “Non puoi perdere tempo in queste cose! Devi crescere!” ed era questo uno dei motivi per cui lo seguivano: dava un senso immediato alle crescita, alle cose che chiedeva.

Con lui sapevano che il Signore li chiamava a cose grandi, a un impegno concreto che doveva dare frutti abbondanti. E le cose grandi cominciavano subito, come pure le responsabilità. Forse don Oreste lo aveva imparato dai pescatori di San Nicolò: se uno non sa nuotare, buttalo giù dalla barca dove non si tocca, vedrai che impara. Così Stefano si trovò delegato diocesano a quindici anni. Alla stessa età Aldo era delegato per la zona nord e per raggiungere le parrocchie a volte aveva un autista a disposizione. Luciano e Stefano, ragioniere appena diplomato, si videro affidare Madonna delle Vette. Aldo ricorda, con orgoglio, che alle riunioni regionali dei delegati i riminesi erano sempre i più giovani.

E tutto questo, i ragazzi lo sapevano, veniva dal Signore e il Signore era la via per crescere. Era questo l’incontro simpatico con Cristo, non era il calciobalilla, era Cristo che ti fa grande. E quei ragazzi lo capirono tanto bene che le vocazioni sacerdotali spuntavano come funghi. Ci fu una specie di epidemia di vocazioni, anche adulte. I sacerdoti dicevano “il Signore chiama e don Oreste spinge”.

Qualcuno dice che poi cambiò, si dette al sociale.
Non concordo, ha continuato solo a proporre cose grandi ai ragazzi.
Non credo sia un caso che fosse proprio il sessantotto quando fece la proposta di un atto di giustizia ai suoi alunni: portare i ragazzi reclusi negli istituti in vacanza ad Alba di Canazei. Poi, a quei ragazzi, che avevano fame e sete di giustizia, propose altre cose grandissime, sempre nel nome del Signore: liberare gli handicappati dagli istituti, condividere la vita degli ultimi, andare nel terzo mondo a portare la giustizia e la pace, liberare i tossicodipendenti, liberare le schiave...

E i ragazzi lo hanno sempre seguito, o meglio, abbiamo seguito il Signore.

E credo che nessuna frase meglio di quanto disse alle Settimane sociali di Pisa possa riassumere meglio la sua vita di educatore.

“Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta. Soprattutto le masse giovanili non le avremo mai più con noi, se non ci mettiamo con loro per rivoluzionare il mondo e far spazio dentro. Ma il vento è favorevole, perché il cuore dei giovani, ve lo dico – e non badate alle cassandre – oggi batte per Cristo. Però ci vuole chi senta quel battito, chi li organizzi e li porti avanti in una maniera meravigliosa.”

Ed è questo che ha fatto per tutta la vita: sentire quel battito e organizzare i ragazzi a fare cose meravigliose.

 


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