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Logiche di mercato
A livello etico aspetto l'avvento di una economia che si basi sulla convinzione che, come ha detto Giovanni Paolo II, l'inclinazione al dono sia insita nel fondo genuino del cuore umano: ogni persona avverte il desiderio di entrare in contatto con gli altri, e realizza pienamente se stessa quando agli altri liberamente si dona.
In attesa che questa economia trovi le parole per esprimersi, mi limito a ricercare le ragioni per cui ritengo che applicare le regole del mercato alla scuola in particolare e ai servizi in generale sarebbe un grosso errore. L'economia liberista sostiene che la concorrenza possa abbassare i prezzi e dare prodotti migliori. Ma nei testi di economia politica già si precisa che il prezzo minimo si può conseguire solo se si soddisfano condizioni ben precise. Ma se allarghiamo il discorso alla qualità si vede che la cosa si fa anche più complicata. Si possono infatti trovare una serie di condizioni necessarie perché un servizio possa efficacemente essere affidato al mercato. Nel caso della scuola queste condizioni non si verificano. Innanzi tutto la concorrenza deve esistere, devono cioè esserci diversi competitori accessibili sul territorio. Se questo è possibile nelle città fino alle scuole medie, diventa illusione nei piccoli paesi e per la scuola superiore. Se c'è una scuola elementare a pochi chilometri da casa, solo genitori fortemente motivati sceglieranno un'istituzione diversa per i propri figli. A livello delle superiori si aggiunge anche la variabile dell'indirizzo di studi, per cui potrebbe essere difficile reperire un Istituto dell'indirizzo prescelto ad una distanza ragionevole. La conseguenza, guardando le cose dal lato dell'offerta, è che la scuola potrebbe anche trascurare la qualità, essendo in posizione di monopolio, almeno per un gruppo di utenti. Le stesse leggi dell'economia, poi, vanno contro la moltiplicazione dell'offerta: per le cosiddette "economie di scala" più una scuola (o un'azienda) è grande, meno costa il prodotto. Quindi è illusorio che si verifichi contemporaneamente la pluralità dell'offerta e l'economicità del servizio. Anche supponendo che la concorrenza esista, una condizione importante è quella che l'utente sia in grado di dare un giudizio sul servizio. Anche qui la situazione può essere diversa per i diversi gradi di istruzione. Per le superiori ho l'impressione che gran parte dell'informazione sia in mano a quello che viene comunemente spacciato per "orientamento" e che sarebbe più giusto chiamare "pubblicità". Altra condizione perché si faccia sentire la concorrenza è che l'acquisto (o la fruizione del servizio) sia ripetibile. Ci sono scelte che si fanno una sola volta nella vita, come quella del corso di studi. Una volta scelta una scuola è difficile che si cambi, anche se vengono promesse "passerelle" che restano per lo più sulla carta. Quindi una pubblicità ingannevole "paga" in termini di iscrizioni che difficilmente verranno revocate, anche per problemi come il costo dei libri o il disagio di interrompere un rapporto con i compagni di classe. Tutto questo fa si che una scuola affidata alla concorrenza non dia alcuna garanzia di miglioramento e che quindi molte della promesse dell'autonomia scolastica siano destinate a rimanere lettera morta senza un forte controllo statale. Ma sembra che si vada nella direzione opposta. Torna all'indice |
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