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Sarà una Scuola affidata al mercato?
Il Ministro Moratti ha mantenuto la promessa: appena insediata ha bloccato la riforma dei cicli, con un decreto urgente, come fosse una sciagura nazionale. L'intento dichiarato è quello di rallentarne l'applicazione per attuarla in accordo con docenti e famiglie, ma a quanto pare altri interventi del Ministro fanno intravedere la volontà di scardinare la riforma voluta dal precedente governo.
Uno dei punti qualificanti della riforma era l'abbandono del nozionismo: il modello degli Istituti Tecnici e Professionali risulta ormai inadeguato, in quanto si basa sostanzialmente sull'apprendimento di tecniche e nozioni che, di fronte all'incalzare della tecnologia, invecchiano rapidamente. Da qui la scelta di estendere a tutti il modello dei Licei, da sempre ritenuti la scuola di qualità del sistema scolastico italiano, dove si punta maggiormente sulle conoscenze di base e sullo sviluppo della capacità di ragionare. Questo nella constatazione che comunque già oggi è necessario per chiunque un continuo aggiornamento sulle tecniche in continua evoluzione. Dalle dichiarazioni fatte, sembra invece si voglia mantenere e dare rilievo ad un'area di formazione professionale. Sintomatica anche la dichiarazione di voler valorizzare il Liceo Classico, scuola di tutto rispetto, ma riservata a una ristretta minoranza che non può essere presa come unico riferimento per quella che, ormai da tre decenni, è diventata una scuola di massa. Il blocco della riforma dei cicli ritarderà in ogni caso l'adeguamento agli standard europei, che prevedono un anno di meno per il raggiungimento del diploma, rischiando di porre i nostri diplomati fuori dal mercato internazionale del lavoro. Assolutamente scandaloso appare poi il progetto di riformare l'esame di maturità affidandolo a soli professori interni con un presidente esterno. Si tratterebbe di un regalo fatto alla parte peggiore della scuola, dal quale verrebbero danneggiati soprattutto gli istituti che cercano di mantenere un certo livello qualitativo, che verrebbero penalizzati dal confronto con altri in cui si regalano promozioni. In particolare favorirebbe i cosiddetti “diplomifici”, che promettono recupero anni e promozioni per tutti. Va ricordato che il precedente governo aveva cercato di limitare il fenomeno con alcuni provvedimenti, come l'obbligo di sostenere l'esame nel luogo di residenza o di avere un ciclo completo di studi e non solo le classi terminali. Positiva l'intenzione di un sistema nazionale di valutazione delle Scuole, peraltro in fase di preparazione da tempo; ma perché alla sua direzione il prof. Vertecchi, pedagogista di fama internazionale, è stato sostituito da un ingegnere? Per la cronaca: un documento di un Ispettore ministeriale dello scorso anno analizzava i metodi proposti per la valutazione degli Istituti e concludeva che, essendo derivati da metodi industriali, si adattano male alla realtà scolastica. Altro nodo che la Moratti vuole affrontare sono gli organi collegiali. Cosa vuol dire che lascerà alle scuole la libertà di stabilire le forme di partecipazione? Con l'autonomia lasciata agli Istituti non sarebbe il caso di preoccuparsi di stabilire almeno uno standard minimo per la partecipazione di famiglie e alunni? Avremo scuole in cui vengono ascoltate le famiglie e altre in cui comanda il Preside? Strane anche le dichiarazioni sulle Consulte degli Studenti rilasciate al Meeting di Rimini. Le norme che le regolano sono state decise e modificate in accordo con gli studenti. Perché definirle “fondate su vecchi modelli burocratici e politici”? Cosa vorrà dire “rilanciare la partecipazione”, quando le Consulte sono state lo strumento con cui gli studenti hanno dialogato direttamente col Ministro? Buono scuolaMa la parte più preoccupante del programma è quella che riguarda il buono-scuola, promesso con l'intento dichiarato di venire incontro all'aspirazione della Chiesa di veder finanziare le scuole cattoliche.Introducendo il buono-scuola gli istituti, a gestione pubblica o privata che siano, verrebbero finanziati in proporzione al numero degli iscritti, come se ogni famiglia disponesse di un buono da assegnare all'istituzione scelta per il figlio. Questo strumento è, in realtà, un modo per affidare la scuola alle leggi di mercato: gli istituti saranno in concorrenza fra loro e questo, secondo le teorie liberiste, dovrebbe portare al miglioramento dell'offerta. Questo miglioramento, però, è tutto da dimostrare. Innanzi tutto il prodotto migliora se il consumatore è in grado di giudicarne la bontà. Dare un giudizio sulla qualità della scuola, abbiamo visto, mette in crisi gli esperti. I singoli genitori sapranno fare di meglio o saranno in balia della pubblicità? I genitori sceglieranno davvero le scuole migliori o quelle dalla promozione facile? Per non parlare poi, soprattutto a livello delle superiori, delle scelte di contenuti: una scuola seria dovrebbe proporre qualcosa di stabile nel tempo; così, invece, si rischia di costringere le scuole ad andare dietro alle mode. Un altro aspetto del buono-scuola è quello che non porterebbe affatto ad una “parità scolastica”: le scuole a gestione privata sarebbero libere di chiedere contributi alle famiglie e di assumere chi vogliono. Questo porterebbe al fatto che le scuole a gestione potrebbero assumere i dirigenti e gli insegnanti migliori, che potrebbero scegliere il settore privato, anche a parità di stipendio, se non altro per poter lavorare con maggiore libertà. La pubblica amministrazione, invece, dovrebbe garantire l'istruzione anche alle fasce più povere ed emarginate e assumere secondo le graduatorie, quindi senza alcuna possibilità di scelta. Se si volesse avere la parità si dovrebbe perlomeno impedire alle scuole a gestione privata di accettare contributi privati a qualsiasi titolo e dare ai Dirigenti delle scuole pubbliche libertà di assunzione. Altrimenti si arriverebbe, come negli Stati Uniti, ad una scuola pubblica che, con gli insegnanti scartati dalle private, deve farsi carico di quegli alunni le cui famiglie non vogliono o non possono pagare per l'istruzione del figlio. Inoltre nella scuola a gestione pubblica si aprirebbero spazi non solo per scuole confessionali di altre religioni, ma anche al mercato vero e proprio, vale a dire a società che gestiscono la scuola secondo i dettami del profitto. Sarà un caso che qualcuno stia investendo notevoli capitali in enormi tabelloni pubblicitari e spot televisivi per pubblicizzare una rete di “grandi scuole”? Anche se non sembra giusto che chi voglia fare scelte precise per l'istruzione dei figli debba pagarne integralmente le spese, non mi sembra equo che, con il buono-scuola, questo debba essere fatto a spese dei poveri. Torna all'indice |
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