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In ricordo di don Oreste BenziRimini, 7 novembre 2008 Ho cominciato a seguire don Oreste perché con lui si faceva giustizia e quindi la rivoluzione. Succedevano cose strane: handicappati che giravano per le strade, che entravano nei bar, pretendevano di andare in vacanza. Oggi è normale, negli anni '60 non lo era. Così ho cominciato a fotografare gli handicappati che lavoravano, che andavano al mare, le case famiglia e altre cose nuove e strane. Naturalmente in mezzo a questo c'era Don Oreste e fotografare lui dava sempre soddisfazione. Un po' perché creava spesso situazioni interessanti, un po' anche perché era facile. Quando mi facevano i complimenti a volte rispondevo “beh, coi bambini è facile”. Perché questo appariva spesso nel mirino, un bambino pronto a conquistare tutti col sorriso. Del resto nel Vangelo c'è scritto che per entrare nel regno dei cieli bisogna tornare come bambini. Magari quando sarà ora di convincere qualcuno che lui è in Paradiso tirerò fuori qualche foto di quelle giuste. A volte invece non sembrava proprio un bambino. Era quando saliva in cattedra, quasi senza farsi accorgere, e ci parlava della Parola di Dio. Ne sapeva tantissimo, i suoi commenti erano sempre profondissimi. Sembrava che per ogni parola sapesse tirar fuori la derivazione latina, greca o a volte in aramaico. Di ogni episodio sapeva dire dove era successo, chi comandava allora e quali altri fatti si legavano a quello. Succedeva così anche quando affrontava qualche problema. Ricordo che ai tempi di Commissione Giustizia si presentava preparatissimo, con una precisa analisi della situazione e puntuali citazioni delle leggi. Quando e dove si preparasse non lo so. Ma sapeva bene che non era quello che conquistava le persone. La gente non vuole sentirsi calare le cose dall'alto. Sono convinto che Don Oreste sia stato un monellaccio che aveva incontrato Dio. E che tenesse quel monello dentro di sé, facendolo emergere quando gli serviva per incontrare le persone o forse anche per trovare la spavalderia dell'innocenza per affrontare qualche situazione spinosa o per proclamare che il Re è nudo.
E lo fotografavo volentieri perché non fingeva, era sé stesso e adesso ho l'impressione che lasciasse trasparire anche Dio, che era in lui. E ho l'impressione che Dio trasparisse anche da Pasqualino da Sandra, anche loro fra i miei soggetti preferiti.
Così l'ho fotografato quasi tutte le volte che potevo. Le mie foto gli piacevano e diceva che quelle in bianco e nero sembravano dei Della Robbia. Facevo finta di rimanere un po' perplesso, perché Della Robbia faceva dei bassorilievi tutti bianchi e le mie erano foto in bianco e nero, ma mi faceva piacere e lo trovavo un complimento sincero. Ci sono cose, però, che non si riesce a fotografare (o forse ci vuole uno più bravo di me). Così qualcosa ve la racconto e sono le volte che confessava la sua debolezza.
Una volta aspettavamo con lui che iniziasse un incontro. Prese il lezionario e disse “toh, oggi si legge Giona. È il mio profeta preferito, perché non ne ha voglia, proprio come me”. Ho capito allora che fare la rivoluzione... scusate mi sono sbagliato: rivoluzione... non so come mi sia venuto fuori. Ho capito allora che diventare santi non era una cosa che ti arrivava dall'alto, che bisognava conquistarla, stando in ginocchio, come diceva lui. Ho capito anche che, se Don Oreste non ne aveva voglia, come me, qualcosa di buono potevo farlo anche io.
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