Grafomania


Un diritto per i più deboli
una risorsa per tutti

Ottobre 2005

Uno sguardo all'integrazione degli alunni disabili negli Istituti secondari.

Ricordo il racconto di una ragazza, ai tempi dei primi capeggi con gli handicappati. Ci diceva che aveva potuto iscriversi all’Istituto magistrale, solo sottoscrivendo l’impegno a non sfruttare il proprio diploma per diventare maestra, allora lo sbocco lavorativo principale per quella scuola. Il Preside, infatti, vedeva come un problema il fatto che la ragazza si muoveva su sedia a rotelle e questo sarebbe stato per lei un impedimento ad insegnare l’educazione fisica ai bambini.

Da allora molto è cambiato, a partire dalla legislazione, che ha assicurato l’inserimento degli handicappati nelle scuole. In un primo tempo, però, la legge prevedeva che la frequenza fosse “assicurata” nella scuola dell’obbligo e semplicemente “facilitata” alle superiori.

Nel giugno del 1987 la Corte Costituzionale ha cancellato questa disparità, ritenendo che assicurare l’integrazione scolastica facesse parte dell’obbligo, da parte dello Stato, di rimuovere “gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo della persona”.

Nel giro di un anno il Ministero, con una circolare, dettava le norme per l'inserimento, stabilendo, fra l'altro, il diritto al sostegno e il dovere da parte della scuola di acquisire gli strumenti necessari per permettere all'alunno di superare le difficoltà dovute al suo handicap. L'inserimento deve garantire la piena possibilità di conseguire un diploma in caso di handicap fisico o sensoriale, mentre per l'handicap psichico prevede la possibilità di un programma ridotto o differenziato. Appare chiaro, infatti, che nel caso di handicap psichico non può essere garantito, ad esempio, il raggiungimento delle capacità necessarie a gestire autonomamente un'attività di tipo professionale o ad accedere all'Università. In questi casi rimane però importante l'obiettivo di far mantenere al ragazzo il contatto con i coetanei, senza brusche interruzioni dei rapporti socio-affettivi.

Dai dati del Ministero appare che da allora l'inserimento alle superiori è in costante crescita percentuale, mentre rimane pressoché costante per elementari e medie. Questo significa che la possibilità di accedere agli istituti superiori non è ancora pienamente sfruttata. Attualmente alle elementari e medie la percentuale si attesta intorno al due per cento, mentre scende all'uno per cento nel passaggio alle superiori.

Un dato interessante è quello che suddivide gli alunni per tipo di scuola. Risulta evidente una netta prevalenza degli istituti di tipo professionale e artistico, probabilmente molto frequentati da alunni con handicap psichico sia per la possibilità di conseguire una qualifica dopo soli tre anni che per la prospettiva di accedere a mansioni di tipo subalterno e quindi meno impegnative dal punto di vista intellettuale.

Poco interessati dagli inserimenti i Licei, praticamente inaccessibili all'handicap psichico.

Sulla riuscita pratica degli inserimenti molto dipende dalle singole scuole. Si sono registrati esempi eccellenti di integrazione, come ad esempio il “progetto Maometto” dell'Istituto Tecnico Commerciale “Molari” di Santarcangelo di Romagna, dove un'intera classe si recava periodicamente a casa di un alunno colpito da distrofia e impossibilitato a muoversi. In altri casi gli inserimenti sono fatti con meno attenzione e a volte la presenza dell’insegnante di sostegno è solo l’occasione per allontanare l’alunno dalla classe.

Per diversi anni alcune scuole hanno sollecitato l’iscrizione di alunni con handicap soprattutto per godere della limitazione del numero di alunni per classe e quindi guadagnare una classe in più. Oggi questo viene concesso con molte più difficoltà, ma nonostante ciò l’integrazione progredisce. In ogni caso è opinione diffusa che l’integrazione, ove attuata seriamente, abbia portato ad un miglioramento della qualità dell’istituto, dovuto alla maggiore attenzione alla didattica in generale che viene messa in atto in questi casi.

Un’ultima annotazione. L’autonomia scolastica prevede che venga fatta una valutazione periodica delle istituzioni scolastiche. Tale valutazione viene effettuata attualmente mediante un test scritto che viene somministrato a tutti gli alunni. Per non penalizzare le scuole con rilevanti inserimenti di alunni con handicap, i test svolti da questi ultimi vengono esclusi dalla valutazione. Il limite principale di questo modo di procedere è che si tratta di una valutazione fatta “sul prodotto” e non “sul processo”. Si valutano cioè i risultati e non i mezzi messi in atto per conseguirli. Questo potrebbe divenire penalizzante per una scuola che dedichi molte risorse all’handicap senza ricevere un adeguato riconoscimento. Nella valutazione di una Istituzione scolastica, invece, una valutazione di quanto messo in atto per l’integrazione dei più deboli dovrebbe occupare un posto importante, proprio come indicatore dell’attenzione che viene posta alla persona in quanto tale.



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