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Specchio antico

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Ora vediamo come in uno specchio antico (San Paolo)

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Fotografia non manipolata

La VernaSul  gruppo Facebook “Nikon club Italia” sembra che ci siano due fazioni in polemica fra loro: quella che si vanta di postare foto “Non manipolate” e l’altra che potremmo definire “L’ho photoshoppata. Embeh?” con poche sfumature intermedie.

Dato che appartengo al secondo gruppo vorrei fare chiarezza su una cosa.

Ai Tempi della Pellicola ( detti anche Era Filmassica) le uniche foto che arrivavano agli occhi dello spettatore “non manipolate” erano le diapositive proiettate su una qualche superficie bianca. Il massimo consentito era sottoesporre leggermente per saturare i colori o applicare un Polaroid per scurire il cielo. Gli attrezzatissimi avevano un set di filtri per il bilanciamento del bianco. Qualsiasi stampa a colori (da negativa o da diapo) veniva sottoposta a una filtratura destinata a togliere le dominanti cromatiche, ma che poteva benissimo servire a scaldare un tramonto o intonare di azzurro una nebbiolina montana. Sempre che lo stampatore lo sapesse fare, la complessità del processo non permetteva più di tanto. La filtratura delle stampe più economiche era spesso automatica e quindi spesso serviva più ad ammosciare i toni dei tramonti che ad esaltarli. Un po’ come la regolazione automatica del bilanciamento del bianco. Il trattamento del colore da negativo era, in pratica, quasi sempre delegato a un laboratorio. Alcuni fotoamatori si cimentavano nella stampa delle diapositive con l’Ilfochrome, non facilissimo da dominare.

Quello che succedeva al bianconero era tutt’altra cosa. Vediamo quali scelte sono a disposizione di un fotografo esperto ed attrezzato. Si comincia con lo scegliere la pellicola e già lì si condizionano contrasto e grana. Si può applicare un filtro all’obbiettivo, in modo da schiarire alcuni colori e scurirne altri. Un assortimento di vetri dal giallo al rosso permette di ottenere il cielo nel tono voluto di grigio, fino ad un drammatico nero, un filtro verde schiarisce i boschi. Poi l’esposizione, che non è detto sia quella corrispondente alla sensibilità “ufficiale”. Si può sottoesporre e poi forzare lo sviluppo per ottenere più contrasto e più  grana, oppure fare l’esatto contrario. Al momento dello sviluppo (e non parliamo necessariamente di sistema zonale) si può scegliere fra più rivelatori, anzi si parte con già in mente una combinazione pellicola-rivelatore per ottenere particolari risultati. Pellicola a bassa sensibilità su cavalletto e rivelatore finegranulante per ottenere stampe dove la grana non si vede neanche a 30×40? Oppure pellicole tirate a 3200 ISO anche in pieno giorno prolungando lo sviluppo per ottenere una drammatica granulosità come se il mondo fosse fatto di carta vetrata? Liberi di farlo e di sperimentare le più svariate e improbabili combinazioni fra pellicole e sviluppi. Anche in questo passaggio, naturalmente, si hanno effetti su contrasto e  nitidezza.

Poi la stampa, su una carta che può avere una superficie lucida, opaca, seta o camoscio. Si inquadra, se necessario si raddrizza, se si vuole si opera un taglio diverso, ingrandendo un po’ di più. Si può prendere anche in considerazione la possibilità di correggere almeno un po’ le linee cadenti, inclinando il marginatore. A questo punto si scelgono l’esposizione e il contrasto della carta. Anzi, le esposizioni e i contrasti. Il minimo è ombreggiare le parti scure e dare un’ulteriore “bruciatura” alle alte luci. Con le carte a contrasto variabile nessuno ci vieta, ed è anzi caldamente raccomandato, di dare una prima esposizione breve col filtro per il contrasto più alto alle ombre e proseguire poi con una esposizione più lunga e filtro morbido alle alte luci. Non è poi così difficile aggiungere qualche nuvola a un cielo piatto.  Per questa bisogna veniva raccomandato di tenere a disposizione una collezione di nuvolette riprese in varie condizioni di luce. I più raffinati scelgono poi bagni particolari per intonazioni calde o fredde.

Così nascono le stampe che ammirate nelle mostre. Ansel Adams diceva che “La pellicola è lo spartito, la stampa è l’esecuzione”.

Fare esperienza su quanto esposto sopra costava tempo, pazienza e soldi. Solo ripetere una stampa con due diverse gradazioni di contrasto poteva richiedere una mezz’oretta. Figuratevi voi come può aver reagito un fotografo che, come me, ha fatto l’esperienza della camera oscura all’arrivo del digitale. In breve mi sono reso conto che:

  • spostando un cursore potevo vedere immediatamente quello che sarebbe successo alla foto senza doverci spendere tempo e preziosi fogli di carta sensibile.
  • potevo fare col colore, in maniera semplicissima, quello che facevo col bianconero.

A questo punto, come conclusione, mi sento di dire che la foto “non manipolata” non esiste e non è mai esistita. Qualsiasi foto che esce da un fotocamera digitale subisce, per forza di cose, una elaborazione dei dati. Questa elaborazione viene fatta dal programma per la visualizzazione nel caso dei file Raw (che non sono immagini) e direttamente dalla fotocamera nel caso delle compatte. In quest’ultimo caso possono essere inserite nel programma di elaborazione funzioni che agiscono sul  contrasto, la saturazione o la nitidezza. Così può capitare che, alla prima visualizzazione, immagini riprese da una compatta risultino di maggior effetto di quelle scattate con una reflex nelle stesse condizioni.

Se è vero quello che diceva Ansel Adams, la foto “non manipolata” è un’esecuzione per pianola meccanica.

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