Ci dobbiamo sviluppare
Per combattere la povertà ci vuole lo sviluppo, ci dicono.
Ma quanto ci dobbiamo ancora sviluppare?
Quand’ero bambino , negli anni ’50, mia mamma lavava i panni nel mastello e i piatti nell’acquaio. D’estate comprava blocchi di ghiaccio per la ghiacciaia. Più o meno tutti i vicini facevano così. Ora è normale che in famiglia ci siano lavatrice, lavapiatti e il frigorifero col congelatore. Ma c’è ancora chi fa fatica ad avere i panni per cambiarsi e il cibo da mettere nel piatto, figurarsi nel frigo.
Quanto ci dobbiamo ancora sviluppare?
Vivevamo in una casa in affitto, una camera cucina sala e bagno, ci scaldavamo con la stufa economica e alla sera con lo scaldino nel letto. Ricordo ancora il mucchio della legna. Ora è normale avere la casa di proprietà, col termosifone e la caldaia a gas, doppi servizi. E il garage. Ma nelle sere d’inverno c’è qualcuno che si deve preoccupare di cercare i barboni sotto i ponti, per non doverne portare via il cadavere la mattina dopo.
Quanto ci dobbiamo ancora sviluppare?
Quando ci muovevamo, noi bambini salivamo sulla canna della bici del babbo. Poi abbiamo avuto la bicicletta anche noi. Più tardi un Velosolex ereditato dal nonno e una lussuosa Lambretta, usata. Oggi in una famiglia che si rispetti ci sono due automobili e a quattordici anni lo scooter è quasi un diritto. Ma alla Caritas fanno felici un sacco di persone distribuendo scarpe usate.
Quanto ci dobbiamo ancora sviluppare?
Eravamo una famiglia di privilegiati: l’azienda dove lavorava mio padre aveva le Colonie estive. Così d’estate noi bambini potevamo goderci un po’ di aria di montagna, lontano dalla famiglia. Ora in montagna ci si va d’inverno, tutta la famiglia insieme a sciare. Oppure si va al villaggio turistico. O si prende un volo per una capitale europea. Ma per qualcuno il viaggio è una traversata del Mediterraneo su un barcone per sfuggire alla miseria, alla fame, alla guerra.
Quanto ci dobbiamo ancora sviluppare?
Mio padre fece una cosa che nel quartiere lo portò all’avanguardia della tecnologia : comprò un televisore. Certe sere nel tinello si radunavano i vicini per vedere Mike Bongiorno. Vedevamo al Telegiornale Ruggero Orlando che aveva filmato il suo corsivo il giorno prima a New York e lo aveva spedito a Roma con l’aereo. Il telefono arrivò più tardi, su una linea duplex, condivisa con un vicino: se stava telefonando lui, non potevi farlo tu. Adesso i televisori si sono moltiplicati: sala, cucina, camera da letto. E cominciano ad invecchiare. C’è Internet, che ci permette di avere in casa tutto il Mondo e magari vederti faccia a facci con un giapponese o un australiano. E poi puoi essere sempre connesso. Con lo smartphone e con il tablet puoi scattare una foto e farla vedere al Mondo nel tempo che Ruggero Orlando impiegava per dire “Qui New York”. Ma la povertà che è nelle nostre città ancora non la vediamo, chi soffre è sempre invisibile.
Quanto ci dobbiamo ancora sviluppare perché non ci sia più la povertà?
Ma forse è sbagliata la domanda: come ci dobbiamo sviluppare? O cosa dobbiamo sviluppare?
Forse capiremmo meglio.