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Specchio antico

Specchio antico

Ora vediamo come in uno specchio antico (San Paolo)

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Black block, quale danno?

Centro nutrizionale a Ndola, Zambia

Centro nutrizionale della Comunità Papa Giovanni XXIII a Ndola, Zambia

Dicendo che il danno maggiore non sono le vetrine o le automobili bruciate, probabilmente scandalizzerò qualcuno di chi mi legge. Ma sono convinto che, alla lunga, i maggiori danni li subiranno le persone che soffrono la fame , proprio quelle a cui l’Expò dovrebbe dare delle risposte. Complici in questo i mezzi d’informazione, che oggi dedicano la quasi totalità dello spazio all’ordine pubblico e lasciano nel buio proprio i temi che i manifestanti pacifici (vittime anche loro) avrebbero voluto portare all’attenzione dell’opinione pubblica.

Che un’esposizione ponga in evidenza gli aspetti tecnologici è nella natura delle cose, pretendere che faccia altro sarebbe un po’ come chiedere al concorso di Miss Italia di mettere in risalto l’intelligenza e la cultura delle partecipanti. Ma qualcun altro potrebbe evidenziare altri aspetti che non siano le potenzialità delle sementi o la tecnologia delle nuove macchine ipertecnologiche. Ad esempio chiedersi se questi mezzi così potenti finiranno in aziende destinate a produrre per quel 1,9 miliardi di  persone che sono sovrappeso (fonte: Organizzazione mondiale della Sanità) oppure per gli 805 milioni che sono in condizione di denutrizione (fonte: FAO). Avete letto bene: il problema del sovrappeso interessa più persone della fame, anche se la fame ne uccide di più. Non esistono stime omogenee, ma solo fra i bambini sotto i cinque anni la fame ne uccide 3 milioni (UNICEF), mentre l’obesità si stima sia letale per 2,8 milioni persone (OMS).

Sono cifre sorprendenti, meritevoli almeno di essere esposte e discusse in un talk-show. Ma, possiamo scommetterci, l’attenzione sarà tutta rivolta all’ordine pubblico, alle vetrine spaccate, alle macchine incendiate, ai danni che quei cinquecento violenti hanno fatto alla città di Milano. Non ci si chiederà che fine faranno i prodotti di un’agricoltura da fantascienza, poco accessibile alle tasche di chi trova il microcredito più utile di una mietitrebbia guidata dal satellite.

Eppure non mancano voci che puntano l’attenzione sull’importanza della distribuzione delle risorse, oltre che sulla loro produzione. Fra tante ne cito una che mi sembra particolarmente autorevole. Un brano fortemente sovversivo: per chi non lo sapesse gli accenni alla “mano invisibile” e alle “forze cieche” alludono ai fondamenti dell’ideologia liberista, secondo la quale l’importante è produrre, poi le forze cieche del mercato agirebbero come una mano invisibile che darebbe benessere e prosperità per tutti.

“Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi”.

(Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 204)

Non basta quindi produrre, occorre anche distribuire in modo equo.  Non mi stupisce che si preferisca parlare di vetrine spaccate e auto in fiamme, come non stupisce che qualcuno voglia screditarlo dandogli del comunista.

Demolire gli insegnanti per costruire “La buona scuola” ?

Insegnanti precariUna delle tecniche a cui ricorre la pubblicità è quella di mostraci come siano bravi lavoratori di un’azienda. Ci avete fatto caso? Spot che ci mostrano mani sapienti di artigiani, progettisti colti nell’attimo dell’ispirazione, manufatti che crescono fra sorrisi compiaciuti di maestranze orgogliose e di ingegneri soddisfatti.

Unica eccezione, che io sappia, quella grande azienda che va sotto il nome di Ministero dell’Istruzione.

Ultimo esempio il presidente Renzi, preoccupato di mettere in ridicolo una categoria, secondo lui succube dei Sindacati, che sciopera nonostante la riforma preveda assunzione di precari e aumenti stipendiali.

Ma perché questo atteggiamento? Una gestione imprenditoriale diversamente furba oppure così avanzata che noi non la comprendiamo?

In realtà tutto ciò ha una spiegazione economica o, per meglio dire, di bassa bottega.

La categoria degli insegnanti non ha potere contrattuale. Se la scuola chiude per un giorno chi ci rimette sono gli insegnanti stessi che poi devono recuperare programma non svolto e le interrogazioni non fatte. Il danno maggior è per i genitori dei bimbi delle elementari che devono trovare qualcuno a cui affidarli. Ma dalle medie in su è festa per tutti.

Così l’unica spinta per i governi ad adeguare gli stipendi potrebbe venire dall’opinione pubblica e allora si alimenta la diceria che lavorano poco, solo diciotto ore la settimana e hanno pure tre mesi di ferie all’anno. Un Ministro che solo nomini le diciotto ore dovrebbe essere cacciato subito, perché vorrebbe dire che non si è nemmeno letto il contratto di lavoro e non sa quali sono gli obblighi di lavoro dei docenti negli altri paesi d’Europa.

Si è ricorsi pure a trucchi più raffinati, come quello del merito. Si sbandiera all’opinione pubblica l’intenzione di premiare il merito e poi si fa una proposta indecente, inaccettabile, in modo da attribuire ai Sindacati il rifiuto di una valorizzazione della professionalità. Trucco riuscito alla Gelmini, che propose di adeguare lo stipendio solo ai meritevoli, ritentato dal governo Renzi, con il premio di sessanta Euro che, a conti fatti, avrebbe comportato un risparmio e non un maggiore investimento. Trucchi disonesti, che hanno il solo scopo di tenere basso il salario degli insegnanti attribuendo loro un immobilismo che in realtà è della classe politica.

Ora la farsa di una riforma scritta da funzionari che non provengono dal mondo della scuola, sottoposta a una consultazione fasulla e comunque ignorata in sede di disegno di legge, tanto che il mondo della Scuola ora la rifiuta. Non sarebbe successo se quanto emerso dalla consultazione fosse stato ascoltato. O meglio ancora se si fosse fatto tesoro della Legge di iniziativa popolare che non viene presa in considerazione dal Parlamento.

Si cerca invece di farla passare con l’ennesimo trucco, il classico “pacco” in cui, insieme a un qualche chicca, si rifila anche una massa di porcherie. Non si spiega altrimenti l’ostinazione a non voler approvare per decreto la regolarizzazione dei precari (la chicca) e lasciare al dialogo in parlamento il resto della riforma (le porcherie). Si vuol far passare tutto insieme per poter addossa ai docenti la responsabilità di ritardare le assunzioni, gettando ulteriore discredito sulla categoria.

E a rimetterci non saranno solo i docenti.

Immaginate quel simpatico signore dalla faccia paciosa che vediamo negli spot insieme ai sui dipendenti orgogliosi dei tortellini che producono. Immaginatelo invece mentre si lamenta rancoroso degli operai che battono la fiacca e non capiscono le sue direttive sull’importanza di una sfoglia sottile e di un ripieno saporito. Vi fidereste di quei tortellini? E la fabbrica, che fine farebbe?

Presepe no, Natale sì?

Presepe

Presepe

Da un po’ di anni a questa parte si assiste ad esibizioni di laicità  a scapito del Natale, che di solito prendono a pretesto la presenza di bambini di altra religione per vietare ai Cristiani di allestire il presepe a scuola. Che poi, essendo la rappresentazione della nascita di colui che viene considerato dai Musulmani il secondo profeta dopo Maometto, non si capisce bene perché dovrebbe essere offensivo. Nessuno però, almeno che io sappia se la prende con altre manifestazioni festose legate alla stessa ricorrenza. Non ho mai sentito nessuno recriminare per i megawatt impiegati in luminarie, né per il fatto che si chiudono scuole ed attività produttive per permettere ai seguaci di una religione di festeggiare la nascita del Salvatore. E pensare ce queste cose pervadono la vita di tutti in modo ben più massiccio dei Presepi allestiti nelle scuole. Ma forse per certe esibizioni di lusso e che prendono a pretesto il Natale dovremmo essere noi Cristiani quelli che si offendono: perché riempite di cose inutili la festa di colui che è nato povero in una mangiatoia? Che sia proprio il richiamo all’essenzialità in un periodo che si vorrebbe dedicato allo spreco spensierato l’inconfessato motivo che spinge a prendersela proprio col Presepe fra i tanti simboli natalizi?

Valutazioni

“Buongiorno, questi sono i compiti in classe di ieri, qui c’è la soluzione e una griglia per l’autovalutazione: consideratele un “cruscotto” comune di riferimento grazie al quale potete individuare i vostri punti di forza e di debolezza e sviluppare un piano di miglioramento. Poi datevi il voto, io controllerò un 10% dei vostri lavori”

Cosa direste di un insegnante che si comporta così? Come minimo che non ha voglia di lavorare, ma anche che non gli importa gran che dei suoi alunni e vuole adempiere il proprio dovere (o far finta di farlo) col minimo dispendio di energia. E potremmo anche dire che spinge gli alunni a ingannare l’insegnante, oltre che se stessi. Tutti, insegnante e alunni, prendono in giro le famiglie.

Bene, questo è quello che lo Stato ha in mente per la valutazione delle Scuole. Infatti il documento “La buona Scuola” pone una grande enfasi sull’autovalutazione: una parte del discorsetto dell’insegnante ne è una citazione quasi letterale. Benissimo per l’autovalutazione, promuoverla negli alunni dovrebbe essere fra gli obiettivi di un buon insegnante. Poi però se si vuole che la cosa sia seria anche l’autovalutazione ha bisogno di una verifica esterna. E controllare un istituto su dieci vuol dire che elementari e superiori verranno controllate ogni due cicli e le medie ogni tre. Nel frattempo le Scuole saranno libere di dire quello che più gli fa comodo.

un “cruscotto”
comune di riferimento
grazie al quale
individuare i propri punti di
forza e di debolezza e sviluppare
un piano triennale di
miglioramento che avrà al
centro i risultati degli studenti,
il loro apprendimento
e successo formativo

Parliamo di lavoro

Parlando di articolo 18 potremmo prendere in considerazione anche questo punto di vista:

“192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti». Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi”.

Papa Francesco, Evangelii gaudium

Non mi sembra ci sia molto da dire, se non evidenziare che un indennizzo salvaguarda il reddito, ma il reintegro rispetta la dignità del lavoratore.

192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti».[159] Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.
203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.
204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

Premiare il merito?

Esami di Stato

Esami di Stato

Una delle trappole del documento “La buona scuola” è quella di fare i conti della progressione economica considerando i docenti migliori. I quali, avendo il primo scatto dopo tre anni e proseguendo con questo ritmo senza sbagliarne uno, arrivano “a guadagnare circa 9 mila euro netti in più all’anno rispetto al loro stipendio di base”. In pratica 720 Euro netti al mese, cifra un po’ più comprensibile.

Io sono insegnante di Estimo e la mia materia mi ha insegnato a considerare non le eccezioni (i più bravi), ma l’ordinarietà, ossia i docenti di medie capacità. Parlare dei docenti “più bravi” mi sembra uno specchietto per le allodole: Quanti docenti appena assunti saranno così bravi da superare d’un balzo un docente su tre del proprio istituto? E quanti di questi sapranno tenere il passo per tutta la carriera scolastica, senza mai perdere occasioni di aggiornamento, attribuzioni di incarichi ed entrando nelle grazie dei vari dirigenti scolastici? Soprattutto le donne: potranno essere sempre in progressione anche durante le gravidanze e i relativi periodi in cui i figli richiedono maggiori cure?

Una cosa è certa: se i due terzi dei docenti prenderanno lo scatto per merito, i docenti, in media, prenderanno due terzi degli scatti. Quindi il docente di medie capacità non raggiungerà i dodici scatti, ma si fermerà a otto, per complessivi 480 Euro al mese.

Quindi se “a fine carriera, i docenti migliori (quanti?) potranno arrivare a guadagnare circa 9 mila euro netti in più all’anno rispetto al loro stipendio di base, cioè circa 2 mila euro netti in più di quanto guadagnerebbero a fine carriera con il sistema attuale”, il docente medio potrà contare solo su due terzi della somma, cioè circa seimila Euro all’anno, mille Euro in meno del sistema attuale.

Questi due terzi del massimo rappresentano anche la spesa per lo Stato, che in definitiva, con la scusa di premiare il merito, risparmierà, riducendo la retribuzione dei docenti. Peggio della Gelmini, che voleva aumentare lo stipendio solo ai meritevoli. Qui lo stipendio per molti calerà addirittura.

Consultazione sulla scuola

Penso che alla fine contribuirò al sondaggio nazionale sulla scuola, ma che in definitiva non serva a un gran che.

La Gente

La Gente

Dico questo perché l’idea di una grande consultazione popolare assomiglia troppo a quelle tante iniziative demagogiche che, dai cahiers de doléances in poi, promettono di dare voce a tutti per poi permettere al potente di turno di fare quello che gli pare.

Si sa già che questo tipo di iniziative finisce col dare la stura ad una pletora di idee sconnesse fra loro, dove si mescolano grandi idee sull’Universo e lamentele per la pulizia dei bagni. Fra le quali poi si possono scegliere quelle “fattibili”, cioè quelle che il potere aveva in mente fin dall’inizio.

Non si prevede invece uno spazio per le organizzazioni (sindacati, associazioni) che potrebbero dare idee strutturate, ispirate da una precisa visione della scuola, sulle quali il Governo dovrebbe esprimersi in modo trasparente uscendo allo scoperto senza trincerarsi dietro “quello che ha detto il Popolo”. Cosa che è precisamente ciò che si intende per populismo.

Del resto è già evidente che il Governo Renzi faccia del populismo. Basta guardare come dopo l’enfasi data alla “meritocrazia”, tema di sicura presa sulla gente, siano uscite proposte come l’esame di stato con soli commissari interni e l’autovalutazione delle scuole. Due cose che fanno a pugni con una seria valutazione del merito, cosa a cui non sono pregiudizialmente contrario. Basta che sia fatta con metodi adeguati e rispettosi delle persone.

Ma la proposta della consultazione non va respinta, per non cadere nell’accusa di non voler collaborare.

Ma se lo farò, questa sarà la prima cosa che dirò.

Cifre vere, bugie… anche

StipendiParte un allarma in rete: «Ehi, questi dati sono falsi». Si riferisce alla tabella a pag. 49 del documento “La buona scuola” del Governo Renzi. In effetti, a prima vista, quei quasi cinquantaquattromila Euro per un docente a fine carriera non sembrano nemmeno parenti dei circa trentunmila che risultano dal CUD e men che mai dei ventitremila e rotti che finiscono in busta paga.

Dopo poco qualcuno chiarisce «Guardate che quelli sono il “lordo Stato”», come in effetti recita una scritta a bordo pagina.

E qui scatta il paradosso di cifre formalmente esatte, ma sostanzialmente bugiarde.

Perché il “lordo Stato” comprende anche l’Irpef e l’intero ammontare dei contributi previdenziali (nel CUD i contributi non figurano). Ma, mentre per imprenditore un privato il lordo corrisponde alla somma che esce dalle sue tasche, per lo Stato questa è un cifra virtuale. Le imposte vengono infatti pagate dallo Stato… allo Stato e i contributi dallo Stato all’Inps. Semplicemente cambiano tasca. Il cosiddetto “lordo Stato” non corrisponde, dunque, né alla retribuzione del lavoratore, né al costo che lo Stato sostiene per un insegnante.

Qual’è quindi lo scopo di questa presunta informazione? A me viene in mente solo quello di dare una falsa impressione delle retribuzioni dei docenti.

Cominciamo bene, per un Governo che promette il dialogo.

Fotografare al museo

Riprodurre un quadro

Riprodurre un quadro

Anche la National Gallery di Londra si adegua a quanto già fanno altri musei in Europa: permetteranno di fotografare. Pare che la decisione sia dovuta all’impossibilità di rendere effettivo il divieto, vista la diffusione di cellulari e tablet, che oltretutto serviranno ad accedere al Wi-fi gratuito per avere informazioni sulle opere.

Pare che la stessa cosa sia stata proposta in Italia “suscitando polemiche” (La Repubblica). Vediamo di capire perchè.

Una giusta preoccupazione è quella della luce di flash, che, a lungo andare, danneggia i dipinti. In effetti il flash nei musei è vietato ovunque e alcune macchine fotografiche hanno un’apposita funzione “museo” che lo blocca. In ogni caso sarebbe una pessima fonte di luce.

Un’altra preoccupazione è quella dei diritti. E qui siamo nella paranoia.

La riproduzione di un’opera d’arte è una cosa seria. Qui a fianco vedete un esempio: macchina fotografica di grande formato, cavalletto (in questo caso un lungo palo), un proprio parco luci, controllo della luce e dell’inquadratura sullo schermo di un computer. Per i non addetti ai lavori diremo che il cavalletto è essenziale per avere un preciso controllo dell’inquadratura e per poter usare basse sensibilità e conseguenti tempi lunghi. Solo così si ottiene una riproduzione con un buon livello di dettaglio.

Controllo della luce

Controllo della luce

In più viene scattata un’immagine di controllo, con un apposita tavola per tarare al meglio la resa dei colori anche in fase di post produzione. Notate  che la cosa richiede il lavoro di due persone. E non è affatto un lavoro breve.

Solo con questi accorgimenti si ottengono riproduzioni che hanno un qualche valore commerciale. Come precauzione è sufficiente vietare l’uso del cavalletto, come accade in tutti i musei che permettono di fare foto.

Scattare foto a mano libera nei musei  (cosa che faccio regolarmente ove permesso) equivale a prendere appunti a una conferenza. Si ottiene qualcosa che ci ricorda quell’esperienza, ma che ha solo una somiglianza più o meno vaga con quanto si è visto. Colori falsati e dettaglio basso non possono certo competere con l’opera originale, ma possono aiutarci a ricordare. Pretendere un permesso particolare o il pagamento di un balzello per questi appunti visivi sarebbe ridicolo.

In Germania e in altri paesi (Austria, Olanda, Belgio, Rep. Ceca, Ungheria) il permesso di fotografare  è una regola, con le limitazioni sopraddette, niente flash e cavalletto, con in più l’ovvio divieto di avvicinarsi troppo ai quadri.  Se non altro si evita di assistere a scene come quella del “Sacre Coeur” di Parigi, dove l’unico effetto del divieto è un continuo gridare “No foto! no foto!” da parte di un energumeno con funzioni di custode. E non vedo che male ci sia a volere un selfie con un capolavoro accanto. Se non altro è meglio del bagno di casa.

Lavorare più, lavorare peggio

Anche Renzi e il ministro Giannini confondono la quantità con la qualità e si illudono di migliorare la scuola facendo lavorare di più i docenti invece di farli lavorare meglio.

Continuano inoltre con la menzogna delle diciotto ore settimanali, facendo finta di dimenticare la correzione dei compiti, la preparazione delle lezioni, l’aggiornamento, le ore obbligatorie di attività collaterali e il carico illimitato delle attività funzionali all’insegnamento.

Per capire come più lavoro per i docenti non significhi una scuola migliore basta vedere cosa fece anni fa i ministro Moratti quando si accorse che alcuni docenti “lavoravano” (ma sarebbe meglio dire “stavano in classe”) meno delle famigerate diciotto ore. Il motivo era quello che il loro orario copriva le esigenze di un corso o due e, per salvaguardare la libertà didattica, si cercava di assegnare un solo docente a un certo corso. Le conseguenze di aver portato tutte le cattedre a diciotto ore (e quindi fatto lavorare di più gli insegnanti) sono illustrate qui sotto, prendendo ad esempio il sottoscritto, insegnante di Estimo ai Geometri. Altri insegnanti possono aver riscontrato cifre diverse, ma i risultati sono simili. Le prime caselle si riferiscono ai carichi di lavoro, le successive ad aspetti che hanno influito sulla qualità del lavoro anche di chi faceva, e ha continuato a fare, diciotto ore in classe.

1980 –  Orario cattedra di 16 0re 2014 –  Orario cattedra di 18 ore (+11%)
Tre classi da seguire Con la riduzione delle ore delle diverse materie le classi da seguire sono cinque (+67%).
Il numero di alunni andava da 60 a 75 con altrettante famiglie con cui tenere i contatti. Per effetto anche dell’aumento di alunni per classe si arriva da 125 a 150 alunni (+100%).
Se la materia comprendeva una valutazione scritta, in un anno c’erano da 360 a 450 compiti da preparare e correggere per classe. Con molti alunni in classe è difficile avere due voti per l’orale con le interrogazioni. In molti casi si aggiunge un test per l’orale. Ai 500 – 750 compiti (+100%) si aggiungono 50 – 60 test per classe (fino a 300).
Considerando sei consigli all’anno, c’erano 18 consigli di classe e 6 scrutini I Consigli di classe diventano 30 e gli scrutini 10. Per gli scrutini non c’è limite di tempo, un docente potrebbe invece rifiutarsi di partecipare a i consigli di classe quando superano il monte-ore annuale previsto.
Le classi erano tutte in un corso, si faceva conoscenza in terza e li si portava fino in quinta. Le classi sono su più corsi, non c’è più continuità didattica. Ogni volta può capitare di avere più di una classe nuova con cui fare conoscenza, magari per lasciarla dopo un solo anno.
I docenti dei tre consigli di classe erano più o meno gli stessi, appartenevano tutti allo stesso corso. Erano anche piuttosto stabili nel tempo. Il consiglio aveva modo di fare esperienza e crescere nel lavorare insieme. Le classi sono su più corsi, la composizione dei consigli varia da classe a classe e da un anno all’altro. Ogni volta si ricomincia da capo.
Alcuni insegnanti avevano più di una materia (ad esempio Italiano e Storia), quindi più ore in classe e più possibilità di conoscere gli alunni. Per formare le cattedre si dividono le materie fra più docenti, che passano meno ore in una classe. Consigli di classe più numerosi, con più docenti “di passaggio” che non conoscono la classe.
Quante ore lavora un docente per l’opinione pubblica? 18 Sempre 18