Da bar
C’è una definizione precisa dei discorsi “da bar”, necessaria perché i dicorsi da bar sono quelli in cui ognuno dà ai termini il significato che vuole e quindi ognuno ha ragione.
Ma hanno anche altre caratteristiche. Sono, nella maggioranza dei casi basati sulla competenza spicciola, opera di gruppi autoreferenziali, dove l’apporto esterno non è richiesto e, anzi, deprecato. Se qualcuno si azzarda a contraddire l’opinione prevalente con il parere di qualche illustre esperto, parte subito un “Mo va là, cosa vuoi che capiscano quelli lì”. Frase capace di negare la competenza di Einstein in materia di fisica.
Così il bar si dà ragione e nulla può cambiare le sue conclusioni. Se il bar decide che gli immigrati ci rubano il lavoro, non c’è studio di Bakitalia (Mo va là…) che possa convincerlo del contrario.
Se i discorsi da bar rimanessero nel loro luogo natio, non farebbero danni e non sarebbe male che rimanessero discorsi. ma da un po’ di tempo in qua ho l’impressione che succeda il peggio immaginabile: diventano leggi.
Come speiegarsi altrimenti certi provvedimenti?
Bullismo, ad esempio. ” Va là, che se bocciassero con il sette in condotta…”. A nulla conta l’osservazione che se qualcuno merita il sette in condotta difficilmente ha un profitto tale da essere promosso. L’idea viaggia, arriva alle orecchie di un ministro, diventa legge.
Arriva un automobilista infastidito dai ciclisti? “Va là, che se gli togliessero i punti dalla patente starebbero al loro posto”. Il loro posto sarebbero le piste ciclabili, ma non ci sono. Ma anche qui l’idea viaggia e adesso ti tolgono i punti anche se vai in bici, non importa se questo crea una disparità fra cittadini con patente e senza.
Quante leggi “da bar” dovremo ancora vedere?