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Specchio antico

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Ora vediamo come in uno specchio antico (San Paolo)

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Mercato

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Giorno delle cascate Vittoria. Giorno anche di acquisti. Ovviamente alle cascate c’è un mercatino turistico. In fondo è un po’ la stessa cosa in Viale Vespucci a Rimini.

2010_08_(ago)_23-2Ma qui al minimo cenno di interesse, si viene quasi aggrediti. Facciamo un primo giro, rimandando a dopo gli acquisti e i venditori iniziano a sfoderare le loro tattiche. Uno ci regala pomposamente un ciondolo con il “Nyami Nyami”, l’idolo del fiume, contando che poi ci fermeremo a comprare. Un altro si presenta, dice di chiamarsi Riccardo, ma sospetto che lui, o un suo compare, abbia sentito mia moglie chiamarmi. Più o meno tutti chiedono da dove veniamo e si mostrano molto interessati all’Italia. Uno, incredibilmente, dichiara di chiamarsi Benito. Qualcuno chiede di fare un baratto con una penna biro o con un cappellino marcato Fila.

Al ritorno dalle cascate passiamo dal mercatino. Prima però nascondo nella borsa la mia vistosa Nikon, che mi farebbe passare dalla categoria degli occidentali ricchi a quella degli occidentali molto ricchi. Iniziamo le contrattazioni, che sono una cosa  strana. Si comincia chiedendo “How much?” e ci chiedono “Dollars or Kwacha”. Ormai il Kwacha ci è abbastanza familiare e usiamo quello. Naturalmente il prezzo è un’esagerazione e dobbiamo fare una controfferta. La contrattazione ha aspetti grotteschi. Ci chiedono, poniamo, centomila Kwacha.  Si risponde “Noo! Too much!”, troppo, ovviamente. Questa parte è quasi un rito, può capitare di recitarla anche per un Taxi. Si fa per andarsene o si offre la metà o anche meno. Il venditore ti ferma “listen!”, ti chiede di ascoltarlo e abbassa la sua richiesta. Si può continuare così per un po’, trattando sul prezzo e anche sulla quantità, perché il venditore propone di acquistare più pezzi a una cifra inferiore. In genere si ottiene un prezzo piuttosto lontano da quello di partenza. Se poi ad un certo punto si è veramente decisi ad andarsene senza aver comprato, è la volta che si spunta un prezzo strepitoso.

Poi, finito l’acquisto ci si ferma un attimo a pensare quanto l’abbiamo pagato. Perché, a parte la valutazione della richiesta iniziale, non si sta a pensare quanto valgono le cifre che si propongono. Diventa una specie di gioco. Io lo so che il venditore mi chiede troppo, farsi valere è un dovere, deve sapere che noi occidentali non siamo polli da spennare. Dall’altra parte ho l’impressione che anche per il venditore ci sia una vena di orgoglio, non può lasciare andare un occidentale senza avergli venduto qualcosa, senza avergli portato via almeno una briciola della ricchezza che ostenta con i suoi abiti firmati, il suo orologio di marca e la sua macchina fotografica. Così alla fine il prezzo è quello che ognuno dei due può accettare senza perderci la faccia.

Contrattare in una moneta come i Kwacha, che viene venduta a seimila contro un Euro, ha un vantaggio. Quello di accorgersi solo alla fine che i settantamila Kwacha spuntati per una splendida statuetta di quaranta centimetri di ebano sono in realtà dodici Euro e cinquanta centesimi. Cifra che ci vergogneremmo ad offrire in Italia per lo stesso oggetto.

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