Il veleno de “La buona scuola”
Fabrizio Rondolino invita la Polizia a riempire di botte gli insegnanti, rei di bloccare il traffico per protestare contro “La buona scuola”.
Sorvolo sulla evidente inciviltà della proposta, dalla quale lo stesso prende poi, opportunisticamente, le distanze, usando il vecchio e comodo artificio di definirla “una provocazione”.
Sorvolo, perché poi, usa uno di quegli argomenti che ti fanno dire “le botte erano meglio”. Si unisce infatti a quel linciaggio morale che ha accompagnato l’approvazione della cosiddetta riforma, definendo gl’insegnanti “nullafacenti ipergarantiti che lavorano poco e male”. Come rimedio, naturalmente, i controlli e gli incentivi che la riforma promette.
È questo il vero veleno della riforma: il discredito gettato sugli insegnanti, l’unica categoria di lavoratori dipendenti che alla domanda “qual è il tuo orario di lavoro?” risponde “non lo so” perché abituata a fare i conti con il lavoro che la professione richiede e non con il cartellino da timbrare. E se la scuola italiana funziona ancora lo si deve al fatto che molti insegnanti si impegnano senza aspettarsi incentivi, ma solo per la passione che hanno per il proprio lavoro.
Ma questo non è contemplato dall’ideologia del profitto: non è concepibile che si lavori per fare un buon lavoro, l’unico modo ammesso di lavorare è per il salario.
Il tanto decantato “riconoscimento del merito” vuole fare proprio questo: vantarsi di aver migliorato la Scuola introducendo un meccanismo di profitto di cui gli insegnanti hanno fatto finora a meno, lavorando nell’unico modo veramente educante: con spirito di gratuità. E affermando che si lavora solo per il profitto.