Parliamo ancora di tasse sui Bot?
Trovo irritante che si discuta ancora di tasse sui Bot. Perché è un argomento che si presta bene solo a fare della demagogia e ad approfittarsi del fatto che a scuola non si insegna Economia. L’unica cosa che si dovrebbe fare è spiegare che tassare i Bot è una cosa senza senso e che lo Stato, casomai, può fare l’unica cosa di adesso: fingere di tassarli. Ma per dire “è giusto tassarli” o “non è giusto tassarli” basta un fiato, mentre per spiegare perché è assurdo anche solo proporlo ci vogliono diverse righe e questo in politica non funziona. Ma io sono testone e ci provo lo stesso.
Punto uno: Lo Stato per coprire il debito deve ramazzare un tot di denaro e lo fa coi Bot.
Punto due: Per ramazzare il tot di denaro (che non è poco) deve offrire un tasso di interesse che chiameremo T. Se T non è abbastanza alto non ramazza abbastanza soldi.
Punto tre: Tassare i Bot vuol dire diminuire il tasso T, risparmiatori se ne accorgono subito e quindi comprano meno Bot (o niente del tutto) e si rivolgono ad altri investimenti concorrrenziali.
Punto quattro: a questo punto, una volta tassati i Bot, occorre alzare il tasso T di quel tanto che basta per ramazzare comunque i soldi che servono. Siccome i soldi sono sempre dello Stato, il prodotto di questa manovra è zero e quindi si fa solo finta di tassare i Bot, come si fa oggi in Italia. Che l’imposta sia del 12, 5 o del 50% il prodotto ai fini del bilancio dello Stato è lo stesso: zero.
Il resto sono chiacchiere, a partire dai Risparmi della Vecchietta, figura retorica che viene puntualmente evocata quando si vanno a toccare le rendite finanziarie (non i Bot) che sottraggono capitali alle attività produttive per utilizzarli in attività speculative.